StudioPAN
Via Volta, 43
22100 Como, CO
Il mio peregrinare lavorativo mi ha portato in Provincia di Sondrio in Val Gerola, una valle impervia, dalla forte identità, con un genius loci, lo spirito del luogo, importante, alpeggi rigogliosi e un Ribelle di tutto rispetto.
Salendo da Morbegno, tra le case più antiche di Sacco ci accoglie l’Homo Selvadego, figura tra le più suggestive della mitologia alpina. Lo troviamo ritratto nella famosa camera picta, un affresco del 1464 al primo piano di una tipica dimora all’epoca proprietà di un notaio. Il nostro genius loci è accanto alla porta, per proteggere la casa, con un’iscrizione a mo’ di fumetto, che avvisa: “E sonto un homo selvadego: chi me ofende ge fo pagura”
L’Uomo Selvatico è un archetipo, è l’uomo che vive al di fuori della società, preferendo i luoghi isolati e il contatto intimo e profondo con la Natura. E’ schivo e spaventoso, raramente fraternizza con gli uomini, ma quando accade insegna loro a sopravvivere in natura. E’ un guaritore, conosce le erbe, parla il linguaggio degli animali, comprende l’evolversi del tempo atmosferico, è maestro nell’arte casearia, nell’apicoltura, nelle tecniche di estrazione dei minerali preziosi dal sottosuolo.
Non poteva non trovarsi a suo agio in questa valle e forse è merito suo, e non degli importanti valici che collegano i due versanti delle Orobie, che sin dai tempi più antichi la Val Gerola è stata percorsa da genti in cerca di fortuna: nuovi pascoli, giacimenti di ferro o opportunità di commercio. Con il passare dei secoli, la Valle ha acquisito un’importanza sempre maggiore diventando uno degli snodi commerciali più vivaci dell’intera Valtellina, in particolare durante il 1500, quando divenne territorio di confine fra la Repubblica di Venezia, il ducato di Milano ed i Grigioni.
E, magari, è di nuovo grazie a lui, che si deve l’originale storica produzione casearia delle Valli del Bitto, il torrente che incide le due valli Gerola e Albaredo: il Bitto Storico o meglio, lo Storico Ribelle.
E questa è un’altra storia di questa valle che mi colpisce. Un racconto di persone caparbie, soprattutto giovani e donne, che hanno scelto di dedicare la propria vita ad un prodotto fuori dalle logiche di mercato, che non raggiunge grandi numeri, ma che in sé, anzi, in ogni singola forma, concentra i sapori di un sapere antico, lavorazioni tradizionali, tramandate di generazione in generazione, forse proprio a cominciare dall’Homo Selvadego.
La monticazione della mandria, rigorosamente di mucche e capre Orobiche, avviene lungo un percorso a tappe a salire e la caseificazione è ‘itinerante’. Nei calècc, costruzioni in pietra che fanno da ‘tappa tecnica’, si lavora subito il latte in alpeggio, prima che il suo calore naturale si disperda.
Così facendo l’alpeggio viene usato in maniera tanto equilibrata da, addirittura, migliorarne la qualità ecologica, con la comparsa di specie di pregio, come l’Arnica montana. Questo non solo si rispecchia nella qualità del formaggio, ma svolge un ruolo basilare nella conservazione dell’ambiente – mi dice, con giusto orgoglio, il Direttore del Parco delle Orobie Valtellinesi Claudio La Ragione – tanto da far sì che questi habitat ‘semi-naturali’ siano stati riconosciuti dalla Comunità Europea di interesse comunitario prioritario.
Gli insegnamenti del nostro Homo Selvadego non potevano finire in mani migliori e, visto che raramente avvicina gli uomini, forse non è un caso.