StudioPAN
Via Volta, 43
22100 Como, CO
Vedo il nuovo lockdown arrivare e so che la sosta forzata sarà lunga, ma non è un problema, mi dico, da naturalista lo vedo come l’inverno la stagione senza la quale non c’è primavera, il momento dell’investire su se stessi, dell’autoriflessività. Sono quasi spavalda. Ed ecco la crisi non ho fatto i conti con quello che sono. Non l’ho mai visto prima, lo vedo ora che manca.
Scopro che non è solo bisogno di libertà, è irrequietezza. E scopro che è una vita che cerco di domarla sentendo il giudizio, lo sguardo di incomprensione, di chi ha scelto un lavoro stabile, una vita stanziale, un posto ben definito nel mondo. Io no. Ci ho provato ad adeguarmi, è una vita che cerco di stare dentro quegli schemi, mi sono sentita soffocare e ho mandato tutto all’aria.
Allora penso, quando sono stata davvero felice? La risposta non tarda ad arrivare, sono nomade, per stare in equilibrio devo muovermi, devo cambiare prospettiva, lasciarmi spiazzare da un incontro, un quadro, un paesaggio.
Sento i miei neuroni attivarsi e sfrigolare quando quello che ho davanti mi costringe a guardare a come guardo il mondo.
E’ come perdere l’equilibrio per poi ritrovarlo. Come quando vai in barca o in moto. Quando cammini fai lo stesso, c’è un momento in cui lasci la certezza dello stare su due piedi per sbilanciarti in avanti. E’ il muoversi.
Perdere l’equilibrio per poi ritrovarlo. Annusare l’aria. Il profumo della marea, dei prati, dei boschi. Sentire l’arrivo della pioggia, della neve. Percepire l’intensità del sole, dell’ombra, del freddo sulla pelle. Danzare tra le onde, tra le stelle nel cielo d’inverno: il canto delle drizze, delle sartie e scotte al passaggio del vento, il suono delle onde sullo scafo. Il suono dei passi. Sulla neve. Sul selciato. Sul sentiero.
Uno scambio di sguardi e si decide. Partiamo, e lo spiazzamento che cerco è amplificato dalla pandemia.
Il nostro viaggio toccherà 5 stati europei, dal Mediterraneo al Mare di Barents, in macchina e poi in barca a vela. Ci saranno dogane, città, porti e persone. Incontri mediati da mascherine, distanziamento sociale e forse pregiudizio. Viaggiare in Europa fino all’anno scorso era facile. Ogni aeroporto simile all’altro, come un supermercato, il che diciamocelo per un’ansiosa come me è fantastico! Rendiamo tutto così apparentemente uguale da non essere più in grado di riconoscere le diverse culture, lo sguardo diverso sul mondo diverso da luogo a luogo. Dobbiamo scavare per arrivare all’essenza dei luoghi, dobbiamo farlo attivamente.
Il Virus ci sta ricordando che abbiamo interrotto il dialogo con la Natura, siamo stati così ciechi ed arroganti da pensarci superiori. Ma è un retaggio delle vecchie generazioni, dal quale lentamente ci stiamo liberando. Ecco forse oggi viaggiare con la pandemia ci costringe ad assumere quella dose di rischio a cui non eravamo più abituati. Sono curiosa di vedere come cambia l’atteggiamento di fronte al rischio nei diversi paesi che attraverseremo. Di fronte al Virus e nella cultura dei luoghi.
I Norvegesi annoverano gli esploratori più famosi, Amundsen a Nansen per citare i più famosi o Heyerdahl e il suo Kon Tiki, quasi me li aspettavo più propensi al rischio e invece hanno chiuso completamente le dogane a tutti, sono pochissime le eccezioni, mi sembra un controsenso rispetto la loro natura … Invece, mi ricorda Petter Johanssen che di Amundsen è il pronipote, è solo quando sei consapevole del rischio che è insito nella natura che, in certi luoghi più che in altri, non è benevola, ma spesso violenta ed ostile, che impari a pensare strategicamente. Ne va della vita.
Ed è questa la prima lezione, ancora prima di partire.