StudioPAN
Via Volta, 43
22100 Como, CO
Una traversata lunga e faticosa è stata quella che ci ha portato a Brindisi. 120 miglia, durante le quali abbiamo dovuto alternarci al timone, per via del vento e del mare incrociato. Nella migliore delle tradizioni delle Leggi di Murphy, il vento si è alzato ancora di più in prossimità dell’ingresso del porto, costringendoci ad una serie di faticose manovre, ma rendendo il superamento del segnale verde, un piacere ancora più profondo. Il caos fuori, la calma dentro. Il porto sicuro.
Quando arrivi in un porto, chi ti ha preceduto, curioso di capire chi sei e da dove arrivi, controlla con dissimulata noncuranza, il tuo ormeggio, pronto ad aiutare. Ed è proprio subito dopo l’arrivo che si fa conoscenza con persone interessanti, è stato così in Norvegia, con i pescatori o con Jostein, nell’isola croata di Šolta con il vicino di barca, e succede anche ora.
Veniamo invitati a cena dai ‘vicini d’ormeggio’, con Brindisi che crea le condizioni perfette, l’atmosfera giusta per la serata, con il suo vento caldo, i bar illuminati sul lungomare, lo struscio e l’elegante musica di un trio jazz che si esibisce poco più avanti.
I nostri ospiti, partiti da Roma, costeggiando l’Italia, risalendo ora l’Adriatico, per poi andare in Croazia, hanno invitato, oltre a noi, una coppia galiziana che vive in barca già da anni e una giovane coppia brasiliana che, comprata la barca in Croazia, è all’inizio dell’esperienza velistica.
Gli aneddoti, le esperienze, le avventure di ciascuno si intrecciano in una conversazione divertita e divertente su tappe e geografie umane, passando dai Caraibi all’Atlantico, da Gibilterra alla Grecia. Resto incantata da tutti queste storie, dalla qualità delle persone e dalla differenza con i racconti dei velisti incontrati in Norvegia. Per cui non posso fare a meno di porre la domanda, leit-motiv del viaggio in Norvegia, ‘Che cosa è per te il mare?’
C’è un attimo di silenzio, che non mi aspettavo. Di solito il silenzio è un ‘vuoto’ che richiede di essere riempito, spesso con urgenza, invece si sono presi un attimo di tempo per cercare le parole giuste, quelle che, capisco poi, rendessero giustizia alla profondità del pensiero.
Quello che attirava i norvegesi verso il viaggio per mare, spesso in solitaria, era il contatto con gli elementi, la solitudine, la durezza e l’ostilità della natura e l’indicibile stupore nel riconoscere la bellezza di un orizzonte mai uguale nell’apparente monotonia di un viaggio oceanico.
Per noi e gli spagnoli, il mare è luogo d’incontro e scambio con le altre culture, anche quando di mezzo c’è una traversata molto più impegnativa di quella che abbiamo appena concluso. E’ luogo di mediazione e contrasto, è una palestra di diplomazia. Ma il mare rappresenta anche la libertà, intesa non tanto come mancanza di orario e di doveri, che anzi in barca sono spesso ferrei, ma il piacere di essere liberi dagli impegni, ritmi, del tempo umano, e di sottostare a quelli della Natura. E’ il piacere di programmare le proprie soste, le proprie partenze, secondo il vento, il mare, gli agenti atmosferici. Sono questi sono i fattori che ti concedono la sosta e l’occasione di scoperta dei luoghi.
Il punto di vista dei ragazzi brasiliani è, forse, quello più inatteso ed entusiasta. Per loro navigare in Mediterraneo significa immergersi in un mondo alternativo, fatto non solo di densità e diversità culturali e tradizione da esplorare, ma soprattutto di collegamenti, soluzioni tecniche, mezzi di trasporto che sognano di poter esportare come visione di sviluppo, quasi fosse un Grand Tour destinato a perfezionare il loro sapere. La barca a vela è semplicemente la casa e il mezzo di trasporto ideale, per potersi muovere.
Ed io, come fossi in altalena, oscillo tra i due punti di vista europei, sbilanciandomi una volta da una parte, una volta dall’altra, tra il richiamo della solitudine in natura e quello della socialità e della cultura, quasi più alla ricerca della mia voce che ad un vero guardare fuori.