StudioPAN
Via Volta, 43
22100 Como, CO
Nonostante l’intoppo, il fallimento dell’impresa sportiva, non ci perdiamo d’animo e decidiamo di proseguire il nostro viaggio di scoperta della Norvegia centrale.
Lasciamo Une e Magne a malincuore, Aron ci ha richiamato prima del tempo, è in difficoltà, gli fa male un piede.
Rapite da questi racconti, saremmo rimaste qui, probabilmente giorni, forse settimane. Torneremo. Il nostro progetto dovrà ripartire da qui. E’ chiaro come il sole!
Ci concediamo il tempo solo per un’ultima foto e la promessa di tenerli aggiornati sul proseguo del nostro viaggio.
Raggiungiamo il nostro sportivo in poco meno di mezz’ora. Il vento è fortissimo, la natura incredibile. Siamo quasi ad Engerdal, il paesaggio è nudo, gli alberi hanno lasciato il posto a bianche distese di neve, le montagne sullo sfondo.
Aron si è dovuto arrendere, 50 km sui 183 previsti, 659 i metri di dislivello positivo. Sale sul sedile posteriore per cambiarsi, prima di raccontare. Si rimprovera di aver sottovalutato i tempi di recupero di una distorsione e la destinazione. L’asfalto e il freddo hanno accentuato il dolore al piede che si porta dietro dalla sua precedente sfida, la Venezia-Marmolada in invernale. Si rende conto di aver messo troppa carne al fuoco in un periodo troppo ravvicinato. Preso dall’entusiasmo non ha dato retta ai due grilli parlanti – Martina ed io – che per settimane hanno tentato di dissuaderlo. Ma è contento lo stesso. Ci ha provato.
Dopo un momento di scoramento decidiamo di proseguire verso Røros, come programmato. Aron si rilassa e addormenta, sui sedili posteriori. Riemerge di tanto in tanto dal suo torpore… “Che relax, ragazze”.
Siamo immersi nel bianco totale e scossi dal vento, passiamo dal fitto della foresta a spazi aperti che sembrano perdersi nell’infinito. Raggiungiamo le montagne deviando verso Tolga. La neve, qui, quasi scompare lasciando intravedere le sfumature e i colori delle distese di licheni ed eriche. Restano sporadici abeti e spoglie betulle. La passione per il dettaglio di Martina e la mia visione romantica si rincorrono di nuovo nelle fotografie che scattiamo. Il cielo si è definitivamente coperto, comincia a scendere qualche fiocco di neve.
Arriviamo a Røros nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per goderci il fascino del villaggio minerario, vecchio più di trecento anni, le cui case di legno, dai diversi colori, celano cortili nascosti, botteghe artigiane e ristoranti tradizionali.
E’ tutto perfetto curato nel minimo dettaglio. Dalle slitte trainate da cavalli da tiro per accompagnare i turisti in giro, alla zona mineraria, a forma circolare che abbraccia il borgo con cumuli di resti dell’estrazione di rame e cromo. Il borgo si è conservato inalterato, le casette in legno a due piani hanno tutte sul retro degli spazi per una mucca o un cavallo. Erano minatori – contadini. Tutto ricorda l’attività mineraria, dal nome delle vie al simbolo alchemico del rame che spicca nello stemma della compagnia mineraria della città posto sul campanile dell’antica chiesa.
Però è tutto così perfetto, così grazioso, che è difficile vedere quanto fosse cruda la vita del minatore. Forse è proprio per riscattarsi da questo suo passato che Røros si è trasformato in uno dei modelli norvegesi di sostenibilità ambientale e di turismo verde, tanto da ricevere, nel 2013, la certificazione internazionale di Sustainable Destination. Ceniamo e usciamo di nuovo in questo patrimonio mondiale dell’Unesco, in una nevicata degna di una cartolina di Natale.
Il nostro cuore? E’ rimasto in una fattoria di Trysil, in una Norvegia autentica, spontanea, nascosta agli occhi di chi non sa guardare.