StudioPAN
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In una fredda giornata di fine Ottobre sono attesa, con Massimo Cappon e altri due invitati, al Museo Archeologico di Villa Mirabello a Varese, per scoprire i retroscena della mostra “La civiltà delle palafitte”, aperta fino al 4 Settembre 2022.
La mostra racconta delle popolazioni che dal Neolitico alla prima età del Ferro, hanno dato origine ai siti palafitticoli su tutto l’arco alpino, soffermandosi in particolare su quelli dei laghi e dell’Isolino Virginia in Provincia di Varese.
Barbara Cermesoni, paleoetnologa e conservatore del Museo, indugia con passione tra dettagli tecnici di reperti, date e luoghi, che nel suo racconto incalzano e appassionano gli ascoltatori esperti, in un crescendo (o in profondo, sempre più in dettaglio) nel quale io, ahimè, mi perdo. Resta il fascino della capacità di mettere insieme, attraverso un lavoro di accurata indagine, indizi che coprono un arco temporale così ampio, in una storia coerente e scientificamente corretta.
“Bisogna stare molto attenti quando si interpretano i reperti, soprattutto quando non sono molti. Il rigore scientifico è fondamentale per riuscire a connettere tutti questi dati in in una storia che abbia un senso logico e sia priva di spiegazioni fantasiose” mi spiega “ I ritrovamenti comprendono qualche amo, punte di freccia, pezzi di ceramica, le tipiche asce neolitiche levigate nella pregiata giadeite, la pietra verde proveniente dal Piemonte e dalla Liguria, pugnali in selce, fusi di telaio che testimoniano la pratica della tessitura”
Resto colpita dall’immagine che traspare da questi ritrovamenti, questi popoli erano tutt’altro che isolati ma, anzi, al centro dei commerci tra Nord e Sud dell’Europa: l’ambra dal Baltico, lo stagno dalla Norvegia e dalla Cornovaglia, il cristallo di rocca dal Gottardo, l’ossidiana dalla Sardegna, il rame dalla Toscana, i vasi in bronzo dall’Etruria e così via.
Barbara sorride al mio stupore: “Pensa che queste lame sottili in pietra verde venivano commerciate come materiali semilavorati fino in Scozia!”
Visitiamo anche l’Isolino Virginia, sede di gran parte delle ricerche e di ulteriori nuovi scavi.
Qui mi viene in mente il lavoro di Simone Pedron, archeologo sperimentalista, un’altra persona che avrebbe bisogno di essere raccontato in un’intervista tutta sua.
Ho conosciuto Simone durante uno dei miei corsi di Heritage Interpretation, e mi aveva colpito per il suo lavoro: verifica sperimentalmente e rigorosamente, le tecniche di fabbricazione di manufatti e di edifici, le tecniche di caccia, l’efficacia degli strumenti, addirittura gli strumenti musicali del periodo protostorico e preistorico e perfino i diversi tipi di riparo dalla caverna, alla tenda in pelle, alle capanne neolitiche.
Uno dei progetti di Simone è quello di viaggiare come cacciatore-raccoglitore mesolitico, partendo dal Museo di Selva di Cadore, che la sua società cooperativa gestisce, ad Adelsdorf, con l’abbigliamento e l’attrezzatura dell’epoca, per capire le difficoltà, mettere alla prova i materiali e raccogliere dati sperimentali che poi l’Università potrà utilizzare per comparare con i reperti raccolti negli scavi.
All’aspetto strettamente scientifico si aggiunge poi quello divulgativo. La potenza di questo tipo di racconto sta nel fatto che è vita vera, sperimentata, vissuta fino in fondo, in prima persona.
“Cos’era viaggiare allora, quali i tempi, le difficoltà, come ci si preparava ad un viaggio simile?” Gli chiedo, e lui mi apre una finestra su un mondo vivo, dinamico e produttivo, nel quale mi immergo completamente.
“I territori del Neolitico” mi racconta “sono ricchi di ritrovamenti ‘a salto di rana’, sparsi un pò ovunque, con prodotti provenienti dal vicino oriente”. Questo significa che è plausibile ipotizzare sia delle migrazioni che del commercio a staffetta tra i diversi insediamenti. Si navigava da una parte all’altra del Mediterraneo, lungo le coste lungo le quali si strutturavano i primi insediamenti e poi, via via si proseguiva nell’ entroterra seguendo corsi d’acqua e laghi. Le palafitte erano il modo più intelligente di sfruttare le zone umide, ricche di nutrienti, per l’agricoltura e l’allevamento.
Gli gli spostamenti erano molto più comuni di quanto si potrebbe pensare, le strade non erano un gran che, ma c’erano e venivano costruite bonificando le aree accanto a fiumi e laghi ed erano adatte ad essere percorse non solo a piedi, ma anche con carri trainati da buoi (solo più tardi da cavalli).
Starei ad ascoltare Simone per ore, mentre mi parla di ritrovamenti in lungo e in largo in Europa, di antichi percorsi da testare e esperienze incredibili.
Non posso non pensare alla differenza delle due esperienze. La prima indubbiamente interessante, ma ad alto livello di attenzione, la seconda del tutto coinvolgete ed immersiva, nonostante fossimo al telefono. Quante occasioni mancate negli allestimenti museali ‘classici’, nelle lezioni scolastiche di Storia e Geografia, nelle visite guidate sterili. Raccontare in modo vivo la Storia, o Preistoria in questo caso, significa non solo ripercorrere tutte le tappe cruciali della storia dell’uomo, ma gettare una luce completamente diversa su ciò che eravamo e siamo diventati.